Buongiorno, buongiorno.
Son tornati i “bimbi belli”, i “bimbi belli” son tornati.
Benvenuti in una nuova passeggiata all’interno della grande storia del pallone nostrano che poi corrisponde a questa rubrica qua che voi state leggendo in questo preciso istante.
Ritorna in scena la Liscia russo-azzurra che, dopo aver dissertato un po’ di levità & dintorni, ma anche di altri ragionamenti un pizzico lisci, oggi vorrebbe parlar di cose serie mettendo a fuoco un argomento molto in voga dalle nostre latitudini, sarebbe a dire la fuffa.
E niente.
Facciamo un piccolo salto indietro a più di quarant’anni fa allorquando, una domenica pomeriggio, si son affacciati per la prima volta dalla piazza Spedini di questa città chiamata Catania dei signori eleganti, sorridenti e dal linguaggio forbito.
Sto certamente parlando dei cosiddetti “bimbi belli”.
Spostiamoci nel consueto ritiro precampionato di Bibbiena. Ad agosto del millenovecentottanta, là dove mister Lino De Petrillo, preoccupato per la squalifica fino al trentuno dicembre per una presunta doppia attività relativa alla stagione precedente, non riesce a nasconder la sua angoscia. Tra il verde dei boschi di Bibbiena e quello del vicino campo di pallone sudano i calciatori nostrani, che poi sono i Barlassina, i Piga, i Sorrentino ma anche Damiano Morra e Alessandro Bonesso.
Succede infine che il Presidente Massimino decida di far un piccolo passo indietro e da un po’ di tempo si stia mostrando molto meno in pubblico. Pertanto alcuni tipi assai simpatici e in giacca e cravatta vanno in televisione al posto suo e vengono intervistati dai cronisti della carta stampata tra mille salamelecchi. Con uno dei suoi meravigliosi rintocchi, Angelo Massimino li ha etichettati per l’appunto i “bimbi belli”; devono in buona sostanza tutti loro rappresentarlo in una sorta di facciata, dandogli aiuto in un momento per lui poco favorevole dal punto di vista mediatico.
“Adesso – scrive Fabio Tracuzzi sul Giornale del Sud — i ‘bimbi belli’ presenti a Bibbiena sono due.”
“L’anno scorso – continua Franco Zuccalà su un ingiallito Guerin Sportivo — un gruppo di professionisti facenti capo all’Istituto Leonardo da Vinci è venuto allo scoperto con pochi soldi e molte idee. A Catania, città di Musco, quindi dell’ironia e del sarcasmo li hanno ribattezzati i ‘bimbi belli’ perché hanno portato alcune novità estetico-gastronomiche: fiori alle signore e torroncini agli arbitri che fino a qualche tempo fa ricevevano solo pesci. Pesci in faccia, s’intende. In realtà i ‘bimbi belli’ sono entrati in consiglio con una piccolissima quota azionaria, hanno collaborato con 70 milioni in ogni caso da far digerire ad Angelo Massimino. Adesso avrebbero deciso di andarsene se la loro azione non dovesse essere assecondata da fatti.”
Orbene, passa un po’ di tempo e nel dicembre duemilaenove alle Ciminiere fa di nuovo cucù l’intera bella cumacca, con qualche capello ancor più bianco ma impomatata come al solito, di nuovo sulla rampa di lancio e pronta a premiar mezza Catania in una manifestazione dedicata alla memoria dello ziu Angilu. Raccontano per tutta la sera al mondo intero i “bimbi belli” di quella volta in cui con un atto d’amore del Presidentissimo, da loro giustamente supportato acca ventiquattro, il Calcio Catania matricola undicimilasettecento sia stato resuscitato da morte certa nella crudele estate millenovecentonovantatre.
E rieccoli pure i membri del direttivo dei “bimbi belli” nell’aprile duemilaquattordici allo Sheraton di Acicastello, pronti a riciclarsi e a prestarsi a una discutibile operazione commerciale.
Allo scopo di provare a far vendere qualche copia d’un libro scritto da due reporter catanesi e in cui Angelo Massimino, morto quasi vent’anni prima, è citato per i suoi demeriti linguistici, loro stavolta si divertono a denigrarlo tra le risate grasse di tutti i presenti in sala, o quasi.
“Vi ricordate di quando disse ‘Io può’, oppure quando non volle acquistare i guanti al portiere oppure quando voleva comperare il giocatore dal nome Amalgama?”
Passa del tempo, siamo a giugno duemilaventidue e il Calcio Catania millenovecentoquarantasei è nel frattempo miseramente fallito. Stavolta i “bimbi belli” fanno capolino per provare a decantare d’azionariato popolare e d’un principe rossazzurro pronto a planar su Fontanarossa per raggiungere in un battibaleno piazza Duomo e salire di slancio in groppa al nostro liotru.
Veniamo all’oggi e quindi all’ottobre duemilaventitre.
Su un palcoscenico del litorale c’è una manifestazione che regala targhette premio, riconoscimenti e cotillon in una sorta di gara provinciale all’ultimo like.
Le riverenze e le smancerie superano il milione d’unità e poco importa ai “bimbi belli” (che intanto non sono più solo due ma duecentocinquanta) se premiante e premiato appartengono quasi tutti alla stessa categoria professionale, sarebbe a dire la stessa che organizza l’intera manifestazione.
Ma cosa si può fare per davvero per cambiare questa benedetta città, nota nel mondo per il sole, il mare, gli arancini, le polpette, ma pure per tante alte cose ancora?
Perché giammai tutti noi cittadini vogliamo rimanere sempre gli stessi e mai migliorarci? – scrivo e intanto mi chiedo.
Epperò l’importante è che il festival del narcisismo, dell’autoreferenzialità e della fuffa per l’appunto sia ripartito.
Saluti cari.