Quando, all’ora ics del giorno ipsilon del mese zeta, incontro un arzillo cinquantenne catanese, sarebbe a dire il signor Luca Di Gregorio, siamo entrambi abbastanza in vena di liscìa. Dopo una calorosa stretta di mano, il buon Luca parte immediatamente come un missile.
“Caro Alessandro, se tu per caso dovessi un giorno chiedermi quale è stato uno dei momenti più belli della mia vita, sappi che ti risponderei a razzo ricordando un episodio tutto rossazzurro.”
“Aggiudicato, Luca. Procedi pure…”
“Devi sapere che questo istante da favola l’ho vissuto mentre mi trovavo al campo sportivo di Sant’Agata di Militello. Era la seconda domenica di marzo dell’anno millenovecentonovantaquattro, giorno tredici per l’esattezza e quel pomeriggio ero molto felice non solo per avere appena segnato un gol con la maglia del Catania ma per molto di più. Pensa che all’interno del terreno di gioco ho sentito nitidamente il mitico Angelo Patanè che urlava a squarciagola: ‘Incredibile, attenzione, incredibile, il Catania ha raddoppiato con il numero dieci Luca di Gregorio’.”
“Appiddaveru?”
“Si Ale, è andata proprio così. Quello era il primo anno in cui Angelo Patanè faceva i collegamenti in diretta per la radio e per la tivù durante le gare del Catania. E noi in campo sentivamo più le grida di Angelo Patanè che quelle dei nostri mister Franco Indelicato e Lorenzo Barlassina.”
“Molto bene, okay; adesso però procedo io con una domanda. Ma chi è in realtà Luca Di Gregorio?”
“Sono nato a Catania il tredici di febbraio del millenovecentosettantatrè. All’età di sei anni incontro un pallone di calcio e questo accade nello spazio adiacente allo stadio Cibali, in quella zona che ora tutti chiamiamo Cibalino.
Quel pomeriggio mi accolse con un largo sorriso mister Salvo Bianchetti e così entrai a far parte dei “pulcini” del Catania. Ebbene da quel momento in poi non ho mai smesso di giocare a rincorrere un pallone di cuoio e lo faccio ancora oggi, seppur in partite non ufficiali ma con i miei amici storici. Ho fatto tutta la trafila nel settore giovanile dell’Acireale fino ad arrivare alla Berretti, poi nell’ottantanove il Direttore Ciro Femiano mi volle con sé a Napoli. Avevo appena sedici anni e facevo parte del settore giovanile di una delle più importanti squadre d’Europa. In campo giostravo da centrocampista e in più avevo il vizio del gol: ero una sorta di esterno offensivo. Giocavo in squadra con un certo Fabio Cannavaro e avevo conosciuto perfino Diego Armando Maradona. Il mio sogno stava per raggiungere il suo coronamento ma poi è subentrata la cosiddetta ‘saudade’ e sono tornato a casa. Qualche anno dopo, nel novantatré, il Catania fu estromesso dai ranghi federali e la società non aveva perso solo l’affiliazione e ognuno dei giocatori di prima squadra ma pure l’intero patrimonio del settore giovanile che era stato di colpo azzerato. Così vengo chiamato da mister Indelicato e da mister Merenda a vestire la gloriosa maglia rossazzurra sprofondata tra i dilettanti nel campionato di Eccellenza: avevo vent’anni.
Mi ricordo di un tifoso noto come “Giovanni belli baffi” che era molto legato al presidente Massimino e si comportava quasi fosse un dirigente. Ci incitava da bordo campo, entrava perfino negli spogliatoi la domenica e ci spronava a raggiungere la vittoria. E non era il solo tra gli elementi che ricordo con simpatia. Infatti c’era pure un signore che seguiva tutte le nostre partite e ogni allenamento e che noi chiamavamo “Remo Bicchierai” per la straordinaria somiglianza con uno dei calciatori d’oro del passato del Calcio Catania. C’era pure un ragazzo che portava i palloni dentro il campo da gioco che tutti noi avevamo soprannominato “Falcao” e che era diventato quasi la nostra mascotte. Per non parlare di Ciccio Famoso, detto Ciccio Falange, il capo ultras che mi invitò un pomeriggio nel suo Club al Castello Ursino e che ha voluto bene a tutti i giocatori del Catania. E non potrò mai dimenticare le premure e le coccole del presidente Angelo Massimino, che per noi era una sorta di papà. Nel complesso “Lo Smeraldo” aveva fatto costruire una pizzeria frequentata quasi esclusivamente dai suoi calciatori e spesso veniva a trovarci chiedendoci perfino se ogni pizza era cotta al punto giusto. Che meraviglia!
Una volta appesi gli scarpini al muro, ho allenato il S. Agata li Battiati, sono stato istruttore dei “pulcini” con la “Ragazzini Generali” e poi mister del Trecastagni. Infine ho diretto l’Avola e il Giarre e devo dire in questi campionati cosiddetti minori c’è tanto agonismo e poca tecnica ma se si lavora in prospettiva c’è la possibilità reale di costruire qualcosa di buono. Poi un giorno sono diventato selezionatore delle rappresentative regionali. Oggi rappresento la F.I.G.C., orgoglioso di essere un consigliere provinciale della Federazione Italiana Gioco Calcio e inoltre sono vicepresidente della A.I.A.C., l’associazione italiana allenatori di calcio, sezione di Catania. Posso dire senza ombra di dubbio che il calcio mi tiene ancora vivo e mi fa sentire in forma. Mi piace essere in F.I.G.C. perché sento la responsabilità di rappresentare la mia città di Catania. Il mio ruolo è quello di aiutare chi vuole far qualcosa per lo sport.
Per farla breve, laddove in qualche sperduto paese della provincia non c’è nemmeno l’ombra di una struttura sportiva né tantomeno di un campo di pallone è necessario che qualcuno si inventi qualcosa per togliere i ragazzi dalla strada. Io cerco l’equilibrio e amo la diplomazia, sono un supporto, questo è un po’ il mio compito anche se c’è davvero da deprimersi talvolta. Accade a quelli che come me amano visceralmente il calcio, quando si imbattono in vecchi impianti sportivi trasformati in campi di patate. In oltre quarant’anni di carriera ho avuta una sola espulsione per doppia ammonizione e mi piace immaginare che la vita di tutti i giorni di tutti gli esseri umani possa essere regolata e contrassegnata dai valori dello sport.”