“Partire! Non tornerò mai, perché mai si torna!”. Prendendo in prestito l’imperativo di Fernando Pessoa vado indietro all’epoca in cui comincia la storia che segue, precisamente domenica 4 febbraio 1979, quando gli eroi della pedata catanese non si fermano nemmeno durante la “tre giorni agatina”. Giro di boa del campionato, e il Catania di Ciceri e compagni seppellisce con un secco 5-1 la formazione del Latina. Contemporaneamente la compagine primavera allenata dal professore Flumini, sprofonda in quel di Taranto sotto i colpi di Intagliata e Delle Noci.
Tra quei giovani rossazzurri annichiliti dal pesante passivo di sei reti a uno, alla sua seconda presenza in campionato, c’è il difensore Rosario Colombrita. Rosario, classe 1960, nato il 16 giugno, un marcantonio di un metro e ottanta, è il classico “ragazzo d’oro” nel senso pieno della parola, dato che fa l’assistente volontario di sostegno ad anziani non vedenti ed inoltre è assiduo donatore di sangue, mentre coi soldi che guadagna giocando a pallone, compra regali per gli amici e compie opere di beneficienza.
Il calcio appunto fa parte dei suoi svaghi, e dopo le prime incerte apparizioni, diventa titolare della maggiore selezione giovanile etnea nel campionato 1980-’81, sotto la guida di Mister Bianchetti. Il nostro calciatore, cardine della difesa, fa parte di una delle primavera peggiori nella storia catanese: in quella compagine milita anche Cinesinho junior, figlio dell’indimenticato campione brasiliano, acquistato per dar man forte alla prima squadra e relegato a giocare con le riserve, segnalandosi più fuori dal campo che per le prodezze sportive. I giovani etnei chiudono mestamente da fanalino di coda in classifica, Rosario Colombrita però ha il merito di regalare ai propri compagni il primo punto stagionale allorché un suo gol alla sesta giornata contro il Lecce (che schiera tra gli altri Progna e Luperto, calciatori con un soddisfacente proseguimento di carriera), consente di pareggiare l’iniziale vantaggio dei salentini siglando l’1-1 definitivo.

Il percorso rossazzurro non concede ulteriori sbocchi, Rosario per giocare deve andare altrove. Il Ragusa, neo retrocesso dalla serie C2, lo fa suo insieme al compagno Criscione, per affrontare il torneo di serie D 1981-’82. Il sodalizio ibleo però si trova in una situazione economica disperata, e la politica di puntare su elementi giovani non paga. Il computo finale in classifica è di 6 punti, frutto di una vittoria e quattro pareggi, che decreta un ulteriore passo indietro dato che gli azzurri scendono di categoria nuovamente; l’ex difensore rossazzurro alla fine conta solo 14 presenze, perlopiù sotto l’iniziale guida del tecnico Antonio Privitera poi sostituito da Massari.
La carriera calcistica di Rosario Colombrita termina dopo l’esperienza ragusana, ma non solo essa. Partire (diceva Pessoa appunto), e non tornare mai, perché mai si torna. È così che il 29 maggio 1982, un dì di sabato, mentre il mondo è in apprensione a causa degli scontri fra inglesi e argentini per il dominio delle Isole Falkland, Rosario lascia le proprie chiavi di casa in portineria andando via senza dare spiegazioni e senza fare mai più ritorno a casa.
Tra le tantissime supposizioni sul “perché”, si pensa ad un allontanamento dovuto ad una crisi amorosa come successo qualche tempo prima, quando decise di scappare in Svizzera per un mese, provvedendo al proprio sostentamento impartendo lezioni d’inglese e lavando automobili, prima di avvisare via telefono del suo rientro a Catania. Stavolta, però, Rosario è proprio scomparso. Il padre, affermato costruttore edile, che lo avrebbe voluto ingegnere al suo fianco nell’azienda di famiglia (Rosario invece intraprese gli studi di sociologia presso Trento), profonde il massimo delle proprie energie per ritrovarlo, ma a distanza di due anni dalla scomparsa verrà a mancare in seguito a grave malattia.
Trascorsi otto anni da quella sera di maggio, e precisamente agli inizi di marzo del 1990, la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” si occupa del caso Colombrita: all’accorato appello della madre seguono decine tra segnalazioni e telefonate di anonimi utenti, nonché amici del ragazzo che intervengono in trasmissione, ma anche semplici mitomani che affermano di averlo visto alle più disparate latitudini del pianeta, il tutto a corredo delle solite ipotesi su cosa possa essere realmente accaduto in virtù del suo allontanamento. L’unica certezza è che Rosario Colombrita, essendo riluttante al servizio militare, non può avere un passaporto per spostarsi e, qualora si trovasse all’estero, in caso di rientro in Italia sarebbe ricercato.
La vicenda Colombrita si conclude, almeno a livello giuridico, soltanto nel 1998, quando il tribunale di Catania, con sentenza numero 1/98 dell’8 gennaio, ne dichiara la morte presunta, disponendone la pubblicazione ne la “Gazzetta Ufficiale”. Tutt’oggi, dopo oltre quarant’anni, i vecchi compagni in rossazzurro quando gli si chiede di Rosario rispondono in coro unanime: “Era un caro ragazzo”.
Ai fini della stesura dell’articolo, in riferimento al caso di cronaca, l’autore ha consultato le seguenti fonti:
- La Sicilia, marzo 1990
- Stampa Sera, numero del 10-03-1990
- Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, foglio delle inserzioni n.74 del 31-03-1998
La foto di copertina è tratta da “La Sicilia”.