Al momento stai visualizzando Chi era György Orth, l’eroe pieno di rimpianti

Estate 1939: a chi la panchina rossazzurra?

Nell’estate del 1939 la Catania sportiva è in festa: l’Associazione Fascista Calcio è stata promossa in Serie B e lo stadio Polisportivo di Cibali finalmente può ospitare uno spettacolo degno delle sue caratteristiche. Si aspettava il nuovo impianto della periferia nord ovest sin da quando la formazione di Géza Kertész militava nella seconda Divisione Nazionale, ma come di consueto le lungaggini dei lavori pubblici hanno obbligato i rossazzurri a calcare la terra battuta del campo di piazza Verga per troppi anni.

La dirigenza è stata calata dall’alto: dopo il passo indietro del duca di Misterbianco, il presidente è Vittorio Emanuele Brusca, che con lo sport ha poco a che fare. Nel 1938-’39, ci pensa Giovanni Degni a vincere la Serie C: l’ex centromediano della Roma inizia una discreta carriera di allenatore proprio all’ombra dell’Etna. A fine campionato, tuttavia, il mister va all’Anconitana, portando con sé il terzino Spanghero e il centromediano Brondi. In Sicilia dovrebbe andare Ferenc Hirzer, la “gazzella” che fece innamorare del calcio Gianni Agnelli quando giocava per la Juventus.

Ma Hirzer non si accorda. «Fervono le trattative con due o tre fra i migliori allenatori italiani», segnala “Il Popolo di Sicilia”. La squadra è completata con varie conferme e qualche prestito di giovani da Bologna e Lazio e intanto si lancia anche la campagna associativa (oggi diremmo abbonamenti): 150 lire per la Tribuna A, 100 per la Tribuna B, 45 per la Tribuna C. Infine si trova anche l’allenatore: István Mészáros, già alla guida di Pistoiese e Sampierdarenese.

 

Una squadra senza nocchiero

Tuttavia, il 1º settembre la Germania invade la Polonia e Mészáros non può nemmeno vedere la città: gli viene ritirato il passaporto perché ufficiale dell’esercito ungherese ed è richiamato alle armi. «A servizio ultimato – telegrafa – mi ritengo a disposizione della squadra». Il presidente scende in campo e guida nei primi giorni i 16 calciatori, poi delega il portiere Mario Sernagiotto. I compagni di squadra si lamentano di allenamenti troppo lunghi, ma il friulano, che è anche un apprezzato pittore, riesce a ottenere la fiducia di tutti. La soluzione interna, tuttavia, non soddisfa. Le prime tre giornate sono deludenti e la squadra pare incompleta.

1º ottobre 1939: Catania-Atalanta 1-4. Si deve ricostruire dopo la terza umiliazione consecutiva. «Ieri sera – scrive il giornalista Enzo Longo – un dirigente ci ha dato alcune buone notizie. Intravediamo già un filo d’azzurro nell’orizzonte…»

 

Un miracolo per «il tanto bravo Orth»

La buona notizia è l’arrivo del nuovo allenatore: ecco György Orth, il cui compito è risollevare una squadra costruita malissimo. Viene dal Metz, ha già all’attivo un Mondiale da allenatore del Cile (ad appena 29 anni) ed esperienze italiane tra Messina, Pisa e Genova. Dopo il tracollo per 4-0 a Brescia, i rossazzurri paiono risollevarsi. «Il Catania è in via di assestamento – scrive Vice su “Il Littoriale” –. Sta scontando l’errore di non aver preso agli inizi del campionato un allenatore: e oggi deve lavorare il doppio per ottenere risultati appena mediocri». «Il tanto bravo Orth non può fare miracoli» gli fa eco Ennio Mantella nella stessa pagina.

Il miracolo, ovviamente, non arriva. Una vittoria, cinque pareggi, poi un 7-0 a Livorno che fiaccherebbe le ambizioni di chiunque. Orth in questo contesto non può stare. Lascia Catania e al suo posto giunge Attilio Ferraris, il simbolo dei “Leoni di Highbury” che provarono la rimonta in Inghilterra-Italia 3-2. Il Catania crollò in Serie C in anticipo: sarebbe tornata in B solo nove anni dopo, dopo infiniti tormenti, lo scioglimento, la rifondazione.

 

Il giocatore pieno di rimpianti

Catania perse una grande occasione lasciandosi scappare György Orth. Lo scrittore Jonathan Wilson lo definisce “the regretful hero”, l’eroe rammaricato, perché da giocatore ebbe una carriera molto precoce e promettente stroncata da un infortunio gravissimo. Orth era molto abile nella conversazione, gentile e informale e teneva particolarmente alla sua salute, in quanto astemio e poco interessato alle scorribande notturne con i compagni di squadra; solo da grande sarebbe diventato un fumatore. Di mattina lavorava in banca e di pomeriggio si allenava con l’MTK Budapest, una delle squadre ungheresi più competitive; in questo modo, metteva da parte un po’ di denaro da dare alla madre.

Era fidanzato con Vilcsi Mihály, una famosa attrice. Per difendere l’onore della ragazza, il calciatore sfidò a duello un uomo che era coinvolto in quello che oggi si chiamerebbe catcalling: la disfida si concluse in un pareggio, i due contendenti finirono in galera per una notte e l’onore fu salvo. Il loro matrimonio nel 1923 fu un grande evento di cui parlò tutta Budapest.

Nel 1925, il suo allenatore Jimmy Hogan lo nominò capitano dell’MTK. Era un momento di grandi cambiamenti, in cui il vecchio modulo 2-3-5, quello che da sempre aveva retto il football, si stava adattando alla regola del fuorigioco. Orth era molto versatile in campo, nacque come attaccante, ma Hogan lo voleva come centromediano, retrocesso in mezzo ai terzini seguendo la nuova moda tattica. Nasceva così quello che sarebbe stato chiamato anni dopo stopper, oggi semplicemente difensore centrale. Orth era nel pieno della sua gioventù e tra i calciatori europei più ammirati e riconosciuti.

L’8 settembre 1925, la carriera da calciatore di Orth si sgretolò. In un’amichevole contro il Wiener Amateure, mentre stava aspettando il passaggio di un compagno per tirare a rete, Hans Tandler saltò con entrambi i piedi sul suo ginocchio. Il crack si sentì a distanza e lui crollò a terra. Venticinque minuti dopo, l’ambulanza giunse in campo ma tutti erano concordi che nessuno avesse mai visto un ginocchio in quello stato: deforme e con i legamenti recisi.

In qualche modo, mesi dopo, Orth si rimise in piedi e tornò a giocare, anche vestendo la maglia della Nazionale. Ma era il tempo dei rimpianti… Ormai l’MTK Budapest non era più la squadra dei 10 campionati consecutivi vinti: senza il suo leader, iniziò il declino. Dopo qualche apparizione qua e là, l’ungherese si ritirò e iniziò la sua carriera da allenatore giramondo, tra Europa e Centro-Sud America, passando da Catania.

 

L’allenatore pieno di rimpianti

Orth diventò un unhappy wanderer, un girovago triste, perché non avrebbe voluto lasciare mai la sua patria. Da un lato, per l’attaccamento alla madre. Quando andò in Cile ad allenare la Nazionale per il Mondiale 1930, già aveva lasciato Vilcsi Mihály e si era risposato, ma era proprio la mamma che lo teneva legato all’Ungheria. Fece avanti e indietro fino al 1935, quando lei morì. Intanto, l’allenatore si era sposato per la terza volta e aveva allenato anche il Messina. Continuò per anni il suo yo-yo tra casa e il mondo, tornando anche ad allenare il Cile.

Ma era chiaro che in realtà aveva nostalgia di Budapest. Dopo la guerra scrisse ai suoi ex compagni di squadra del MTK, ma non arrivò nessuna offerta da lì. Diventò allenatore della Nazionale colombiana, passò dal Messico. La sua storia è stata raccontata dal giornalista Pál Fekete, che ha raccolto molte lettere firmate da György Orth: negli anni Cinquanta, era stanco di allenare e non nascondeva la sua intenzione di chiudere con quella professione e tornarsene in Europa.

Nel 1960, alle Olimpiadi di Roma, era allenatore della Nazionale peruviana. L’Ungheria incrociò il suo cammino e la sconfitta fu cocente. Il 6-2 lo trasformò da allenatore-guru in capro espiatorio della figuraccia. Gli si rimproverò una sconfitta contro i suoi connazionali, con cui aveva passato molto tempo durante i Giochi. Non era però riuscito a tornare a casa, nemmeno brevemente, accampando la scusa di una malattia, forse impaurito di trovare la sua città profondamente cambiata dopo molti anni.

Tuttavia, il suo fisico si stava davvero deteriorando, anche a causa del fumo. Nel 1961 venne ingaggiato dallo Sporting Lisbona, che però disdisse all’ultimo l’incarico e gli trovò un ripiego a Porto. Lo rincuorò l’aver stretto un bel rapporto con un altro grande allenatore ungherese lì in Portogallo, Béla Guttmann; eppure in pochi mesi i dolori che aveva al petto si fecero più intensi. L’11 gennaio 1962 morì, senza aver più rivisto la sua patria per oltre vent’anni, triste e stanco.

 

 

 

Fonti:
“Il Popolo di Sicilia” 1939 – 1940.

“Il Littoriale” 1939.
Jonathan Wilson, “The Names Heard Long Ago”, Bonnier Books 2020.
Pál Fekete, “Orth és társai…”, Sport 1963.

 

 

 

 

Giornalista e insegnante d'inglese, è tra gli autori di "Tutto il Catania minuto per minuto" e varie pubblicazioni di calcio e basket.