Buongiorno, buongiorno.
Attenzione, attenzione.
Stiamo per inaugurare qua su “Tutto il Catania minuto per minuto” una piccola rassegna interamente dedicata alla grande storia del pallone rossazzurro.
Benvenuto, ordunque, nella puntata d’avvio di “Liscìa russo-azzurra”; ora mettiti pure comodo ché ho da dirti una cosa sostanziale a proposito di questa rubrica.
«Se leggerai fino alla fine, parola per parola, il mio articolo, potrebbe anche darsi che al numero zero seguirà domani il numero uno e poi il due, il tre e via discorrendo…»
Adesso, quindi, come dicevo prima, “Liscìa russo-azzurra” può finalmente mollare per davvero gli ormeggi insieme al sottotitolo “Dì anche tu la tua su Nicola Fusaro”. Ciò significa che il ragguaglio odierno di “Liscìa russo-azzurra” sarà dedicato al nostro ex-calciatore che condivide il cognome con un noto filosofo e il cui nome di battesimo significa “vincitore del popolo”.

I fatti.
Nell’estate millenovecentosettantasei, all’incirca a ferragosto, Di Bella & Massimino sognano di andare in A. Ed è per questo motivo che lo prendono, perché loro sperano di irrobustire il centrocampo titolare che già annovera i Panizza, i Marchesi, i Barlassina, tre pezzi da novanta, va. Lui è calabrese e ha ventisei anni, ha giocato in A e tutti dicono che è un fenomeno. Ogni volta che indossa la maglietta rossazzurra in serie B, si mostra come in realtà è fuori dal campo. È una persona affabile e modesta, uno che non ama i riflettori né si mostra mai spocchioso. Il suo fisico è un po’ esile, ma sa giocare a pallone e dimostra quantità e qualità.
Romanzando un pochettino, provo a continuare.
Il calciatore è tecnicamente raffinato e bravo a stoppare la sfera di cuoio ma in realtà un pizzico evanescente. Gioca per lo più da interno e quindi col numero otto cucito dietro le spalle, ma non è molto veloce e, quando riceve il pallone nel cerchio del centrocampo, piuttosto che scattare in avanti, di tanto in tanto s’attorciglia e poi infine s’incarta.
Una sorta di esteta del calcio Fusaro è e siccome ci tiene tanto a far il numero di classe – che d’altronde è proprio nelle sue corde – preferisce talora avvitarsi su sé stesso e indietreggiare. Di colpo poi fa un passaggio pulito e ineccepibile verso un compagno che gli è accanto ma non si tratta mai d’una veloce giocata in profondità.
Accade così che nel girone d’andata della stagione settantasei-settantasette Nicola faccia la sua parte, d’altronde il torneo cadetto è il palcoscenico giusto per calciatori dalle caratteristiche tecniche di uno come lui. Tanto è vero che, una volta calati a picco in terza serie, nelle due successive stagioni di C, diventa una sorta di oggetto misterioso, una specie di rincalzo di lusso.
A tutti quelli che lo considerano un bidone e che la domenica pomeriggio dalle tribune e dai gradoni del Cibali gli urlano “Ma che ce ne dobbiamo fare in serie C di uno come te?’“, lui risponde col suo passo elegante e la sua melina a quindici minuti dal termine di qualche partita vinta in piazza Spedini.
Questo è il mio ricordo di un giocatore rossazzurro che fu perfino il “capitano” e che una volta segnò una rete dalla bandierina del calcio d’angolo, ma può pure darsi che lo stia confondendo con qualche altro calciatore.
Avevo nove, dieci anni all’epoca, mi perdonerete se mi son sbagliato.
Un caro saluto.
Alessandro Russo.
