Al momento stai visualizzando Catania brand equity: il valore dell’appartenenza
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Che il calcio moderno sia un’industria è un fatto ormai conclamato.
La cosa non piace e non è mai piaciuta ai tifosi che tuttavia sono sempre più disposti a scendere a compromessi con questa realtà in nome della sopravvivenza delle loro squadre.
I club moderni, piccoli o grandi che siano, non possono più fare a meno di diversificare i propri affari per reggere il passo in un mercato molto competitivo.
L’anello di congiunzione fra gli interessi economici delle società e il senso di appartenenza dei tifosi alla propria squadra è la cosiddetta brand equity, come la chiamano gli esperti di marketing.
Si tratta del valore del marchio del club, che può veicolare una parte sostanziosa degli affari della società.
Questo articolo spiega come avviene il processo di sviluppo e valorizzazione di un marchio calcistico e valuta le potenzialità del brand “Catania” analizzando il bacino di utenza etneo e la storia dei simboli dell’identità rossazzurra, quali la denominazione e logo.

Indice

Un’industria chiamata calcio

C’è stato un tempo in cui le società di calcio basavano il proprio modello di business sugli introiti del botteghino, che a loro volta erano decisivi per attirare sponsor ed incrementare i ricavi della vendita dei diritti televisivi.
Questo modello si è evoluto a tal punto che l’evento sportivo oggi non è più l’elemento cardine della strategia economica delle società di calcio.
Lo stadio è diventato un asset che idealmente dovrebbe essere attivo tutti i giorni offrendo intrattenimento non solo sportivo. Inoltre oggi il concetto di diritti televisivi include il diritto di sfruttamento dell’immagine del club sui social media e in generale sulle piattaforme web.
A questa merce virtuale si aggiungono i diritti di immagine dei giocatori, i quali assumono un ruolo rilevante anche come catalizzatori di sponsor.
Tutto questo rende il settore marketing e comunicazione un generatore di introiti il cui impatto è decisivo per la vita del club, al punto che l’obiettivo ideale è trasformarlo in un elemento persino più determinante dei risultati del campo.

Per rendere l’idea, Finance Football 50 ha incoronato il Real Madrid come il marchio calcistico più forte del 2022 con un valore stimato di 1.5 miliardi di euro, valore che si è triplicato negli ultimi dieci anni.
Ad inseguire ci sono i brand di Manchester City, Barcellona, Liverpool, Manchester United, tutti valutati 1.3 miliardi di euro, seguiti dal Bayer Monaco con 1.1 miliardi e dal PSG con un miliardo di euro.
Non sorprende più di tanto che nelle prime dieci posizioni figurino sei club inglesi, né che le italiane siano attardate: la Juventus è all’11° posto, l’Inter al 14°, il Milan al 17°, il Napoli al 27°, la Roma al 29°.
Nella classifica “per nazioni” il Regno Unito stacca tutti con 8.6 miliardi di euro, più del doppio di quello della Spagna (4.1 miliardi), inseguita dalla Germania (3.1 miliardi) e dall’Italia (2.1 miliardi), che ha ancora un discreto margine sulla Francia (ferma a 1.3 miliardi).

 Football Brand: Classifica per Nazioni 2022
La classifica “per Nazioni” dei maggiori marchi calcistici del 2022 secondo Brand Finance Football 50.

 

Questi numeri spiegano perché i grandi club continuino la propria attività nonostante molti di essi siano pesantemente indebitati: la loro brand equity, cioè il valore del loro marchio, è talmente alto da essere esso stesso una garanzia per i creditori.
Sebbene quest’ultimo sia un privilegio riservato alle superpotenze del pianeta calcio, è facile capire come il piano di sviluppo di qualunque club moderno non possa prescindere da quello del relativo brand.
E pazienza se questo significa ufficializzare la trasformazione dei tifosi in clienti.
Eppure c’è ancora margine per un compromesso virtuoso. I tifosi restano pur sempre una clientela sui generis e il valore del marchio di un club è a sua volta legato al valore emozionale che gli stessi tifosi gli attribuiscono.
Così da una parte il club ha interesse ad assecondare e alimentare il senso di appartenenza dei tifosi, dall’altra i tifosi accettano di buon grado la crescita commerciale del club, purché non comprometta la tradizione e i valori identitari che esso rappresenta.

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Come ti costruisco un brand

Il processo di costruzione di un marchio prevede di sviluppare quattro elementi principali.
Il primo è la cosiddetta brand awareness, cioè la notorietà del marchio.
Perché un marchio abbia valore deve innanzi tutto essere conosciuto. A questo aspetto sono legati altri due elementi che nel gergo del marketing sono descritti dalle parole recognition e recall, che indicano rispettivamente la capacità del marchio di essere riconosciuto e quella di rimanere impresso nella memoria del pubblico di riferimento.
Per incrementare la fama di una squadra di calcio, oltre a puntare sui risultati del campo, occorre migliorarne il più possibile la reputazione.
Entrano così in gioco tanto i valori astratti che la squadra richiama, quanto la visual identity, cioè tutti quegli elementi distintivi che rappresentano il club, dalla denominazione ai colori sociali, al logo.
Processo di creazione di un brand

Il passo successivo è lo sviluppo della brand image, cioè la personalità del marchio, determinata da tutti quei valori che si vogliono associare ad esso in maniera automatica (forza, correttezza, onestà, resilienza…).
Il terzo elemento chiave nello sviluppo di un brand è il suo valore, materiale e immateriale, indicato con il già citato termine brand equity. In generale esso è quantificato dall’incremento di valore di un prodotto per il solo fatto di essere associato al brand. Ciò è un indice del valore che i tifosi attribuiscono al proprio club, determinante per spingere gli introiti derivanti dal merchandising.
Il valore del brand di una squadra di calcio dipende da fattori legati alla squadra stessa, all’organizzazione societaria e al mercato.

La percezione della qualità della squadra dipende infatti dai suoi successi nelle competizioni nazionali e internazionali, oltre che dalla sua storia.
Anche la presenza in squadra di giocatori dall’immagine vincente aiuta ad aumentare il valore del brand.
Questo spiega la tendenza alla ricerca di calciatori-simbolo da trasformare in “leggende” o “ambasciatori” del club e perché ci sia così tanta attenzione per il merchandising: tanto più forte è il marchio che identifica una squadra di calcio, tanto più redditizio sarà il relativo sfruttamento commerciale.

Dal canto suo l’organizzazione societaria è determinante sia per mettere la squadra nelle condizioni di raggiungere i propri obiettivi sportivi, sia per definire una strategia di marketing capace di far sì che l’atmosfera durante l’evento sportivo rafforzi sempre più il legame fra il pubblico e la squadra.

Infine il valore del marchio dipende dal mercato di riferimento, cioè dalla copertura mediatica dell’attività del club, dal bacino d’utenza e dalle potenzialità di internazionalizzazione che a loro volta sono legate alla posizione geografica e al rapporto fra il club e il territorio che rappresenta.

Il passo finale per la costruzione di un marchio forte è il rafforzamento della brand loyalty, cioè della fedeltà al marchio.
Essa dipende dal livello di attaccamento della comunità, quindi, nel caso di un club calcistico, dal livello di attaccamento di tifosi e simpatizzanti. Questo valore intangibile è determinato da fattori puramente emozionali, spesso scatenati dalle esperienze vissute dal tifoso a fianco del club, quali successi sportivi, momenti di condivisione e qualunque altro episodio dal forte impatto emotivo.
Attenzione però: se un evento positivo può rendere un tifoso fedele per la vita, uno negativo può allontanarlo per sempre.
Per alimentare e mantenere la fedeltà dei tifosi alla squadra bisogna studiare bene il loro carattere. Una classificazione generale divide i tifosi in due grandi categorie: quella dei loyal fans (tifosi fedeli), che seguono la squadra in qualunque circostanza a prescindere dai risultati del campo; e quella dei fair-weather fans (letteralmente tifosi “da bel tempo”), che seguono e supportano la squadra quando le cose vanno bene, insomma quelli spesso definiti “tifosi occasionali”.
Per convertire il maggior numero possibile di tifosi occasionali in tifosi fedeli, ma anche per allargare la base a prescindere dai due profili, entrano ancora una volta in gioco i valori identitari derivanti dalla storia del club.
Essi infatti sono la leva  che permette anche a squadre non avvezze a successi eclatanti di costruirsi un seguito che ne rende possibile una serena sopravvivenza.

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L’importanza della visual identity

Tutti gli elementi dello sviluppo di un brand descritti nella sezione precedente devono essere tenuti in considerazione in sede di sviluppo della visual identity, cioè dell’insieme degli elementi visivi che rappresentano il patrimonio identitario del club, dalla denominazione, ai colori sociali, al logo.
Proprio la progettazione del logo, che di solito è in realtà un restyling visto che il marketing è stato inventato molto dopo il calcio, è un aspetto cruciale che può influire sul valore del brand che rappresenta.
Un logo di successo deve innanzi tutto riflettere la personalità, i valori, la tradizione e la storia del club, provocando nel pubblico una solida connessione emotiva.
Esso deve istintivamente e immediatamente portare alla mente il club e deve essere facilmente riconoscibile (anche quando parzialmente occluso) e altrettanto facilmente memorizzabile da chiunque lo veda: i tifosi del club, quelli dei club rivali e quelli neutrali.
Inoltre il logo deve essere abbastanza versatile da poter essere usato in diverse nazioni, pertanto non deve includere simboli che hanno significati diversi in culture diverse, a meno che tali simboli non siano pilastri della storia della squadra.
Ancor meglio se il logo richiama anche lo stemma e la storia della città di riferimento, in modo da beneficiare della riconoscibilità e del valore di questi ultimi.

La progettazione di un logo non è quindi un’operazione facile perché deve tenere in considerazione persino come determinate forme e colori vengono inconsciamente percepiti dal pubblico.
Il cervello umano percepisce i simboli in due fasi differenti: prima decodifica colori e forme e solo dopo l’insieme. Ogni colore richiama inconsciamente nell’osservatore sentimenti diversi. Per esempio alcune tonalità di rosso trasmettono rabbia e aggressività, l’azzurro sorpresa, il blu scuro tristezza, il giallo chiaro serenità.
Analogamente, forme spigolose come triangoli e quadrati trasmettono sensazioni di forza.
Bilanciare questi elementi in modo da veicolare messaggi emozionali positivi, rispettando nel contempo vincoli imposti dalla tradizione e da esigenze di marketing non è facile.
La tendenza attuale è quella di semplificare e stilizzare, sfruttando ove possibile acronimi immediatamente associabili al club.
Esempi di modernizzazione riuscita di loghi calcistici sono quelli del Brescia e del Modena, più discutibile è il risultato dell’analoga operazione condotta dal Pordenone.

Tre esempi di restyling del logo: Brescia, Modena e Pordenone
Tre esempi di restyling del logo: Brescia, Modena e Pordenone.

 

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Identità rossazzurra

Alla luce di quanto discusso finora si può affermare senza timore di smentita che il Catania non ha ancora mai conosciuto una proprietà in grado di definire e implementare una strategia di branding. Eppure tanto la città quanto la squadra hanno grandi potenzialità che, se sfruttate, potrebbero facilitare la vita del Club.

Bacino d’utenza

Per valutare il bacino d’utenza di Catania non si può prescindere dai numeri.
Innanzitutto inquadriamo il contesto.
Catania ha una popolazione di 300 mila abitanti circa, e contende a Bari il nono posto della classifica delle città più popolose d’Italia. Includendo la popolazione dell’hinterland, Catania arriva a superare di poco il milione di abitanti, una platea potenziale molto ampia per la squadra di calcio.
Per quantificare la percentuale di tifosi rispetto alla popolazione, i numeri da analizzare sono quelli degli spettatori che frequentano lo stadio in generale e degli abbonati in particolare. Tali numeri sono storicamente influenzati dai risultati del campo e dalla categoria di appartenenza, tuttavia ci aiutano a stimare l’entità del cosiddetto zoccolo duro del pubblico catanese, cioè quei tifosi che abbiamo definito “loyal fans”.
Prima di analizzare i dati degli ultimi vent’anni, alcune premesse.
Lo stadio “Angelo Massimino” è vecchio e non fornisce alcun comfort. Se questo aspetto era un dettaglio fino all’inizio degli anni ’90, al giorno d’oggi può essere una zavorra non indifferente. Inoltre nel 2022 l’impianto è omologato per una capienza massima che non arriva ai 21 mila posti (capienza ad oggi ridotta a 16 mila posti in attesa di ripristinare i tornelli), un limite superiore raggiunto solo in occasione di partite chiave e che ad oggi sarebbe valicabile solo con delle modifiche strutturali all’impianto.

Credits: dati stadiapostcards.com

 

Entrando nel merito, gli istogrammi dei dati del periodo dal 2000 al 2019 (i dati delle stagioni 2020 al 2022 sono stati volutamente esclusi perché falsati dalle restrizioni dovute alla pandemia di COVID-19) evidenziano come il numero di spettatori sale nel periodo di ascesa della squadra, con la scalata dalla C alla A, e decresce con il successivo declino.
Il numero di abbonati ha raggiunto il picco massimo di 15.450 unità nella stagione 2006-07, la prima di Serie A dopo 22 anni di assenza, nonostante i prezzi molto elevati proposti dalla proprietà dell’epoca. Nelle stagioni successive, complici i tragici eventi del 2 febbraio 2007 e l’assenza di significative iniziative di fidelizzazione, non si è riusciti a migliorare quel dato.
Da notare che il ritorno in B, nel 2013-14, non ha fatto registrare un crollo negli abbonamenti, rimasti intorno ai diecimila, valore simile a quello delle stagioni intermedie di A.
La caduta in C a seguito dello scandalo dei “Treni del gol” ha provocato invece un dimezzamento dei fedelissimi che sono stati fra i 5000 e i 6000, dato comunque superiore a quello dei due campionati di B targati Gaucci (il 2002-03 e il 2003-04).
Ignorando ogni interferenza legata allo stato di salute della squadra, si può concludere che lo zoccolo duro di appassionati rossazzurri, si aggira intorno alle 4.000 unità, ma il potenziale bacino di tifosi è ben maggiore.
Lo dimostra il record assoluto di abbonamenti per la Serie D fatto registrare quest’anno, con 11.467 tessere sottoscritte. Occorre precisare che il record per la quarta serie è di 16.648 sottoscrizioni ottenute dalla Florentia Viola nel 2002, quando l’attuale Fiorentina si vide costretta a ripartire dalla Serie C2, oggi cancellata. Considerata la pesante situazione economica del 2022, il dato catanese vale certamente di più. Si tratta del dato migliore fatto registrare alle pendici dell’Etna dalla lontana stagione 2008-09.

2000-2019: grafico delle presenze alle gare interne del Catania (massimi e minimi)
Credits: dati stadiapostcards.com

 

Spostando l’attenzione sul numero massimo di presenze al “Massimino”, il dato confortante è che esso supera in media le 19.000 unità, con un picco massimo a 25.000 (finale play-off con il Taranto nel 2001-02, quando lo stadio era omologato proprio per una capienza di circa 25.000 spettatori) e minimo intorno alle 10.000 (Serie C 2016-17).
Ciò conferma il principio intuitivo che i risultati possono attirare facilmente un numero significativo di tifosi occasionali, a prescindere dalla categoria.
È chiaro che questa analisi si limita a considerare il bacino d’utenza locale, ma in futuro si dovrà puntare all’internazionalizzazione del marchio Catania, visto l’elevato numero di siciliani sparsi per il mondo.
La storia dei tifosi del Catania è ricca di episodi edificanti, come ad esempio il memorabile esodo verso Roma in occasione degli spareggi promozione del 1982-83, ma non si devono dimenticare alcune macchie indelebili che fanno parte di una poco invidiabile tradizione di tafferugli direttamente o indirettamente associati ai colori rossazzurri.
Analizzando i dati dal punto di vista del marketing, occorre una volta di più enfatizzare quanto sia importante che l’esperienza di partecipazione all’evento sportivo sia positiva ed emozionante, sia per migliorare la reputazione del Club, sia per estendere la comunità rossazzurra, tanto nella componente di tifosi occasionali, quanto in quella dei fedelissimi.
Di contro, nuovi episodi negativi quali disordini, violenze o scandali, che hanno già penalizzato il Catania in passato, ne comprometterebbero lo sviluppo come brand.

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Storia della denominazione sociale

Il Catania ha cambiato spesso sia la propria denominazione che il proprio logo, mentre i colori sociali sono sempre stati il rosso e l’azzurro. Questi tre elementi possono considerarsi i simboli dei valori identitari del Club, cui i tifosi sono visceralmente affezionati, senza eccezioni.
Questi simboli hanno un potenziale persino superiore a quello del bacino d’utenza perché esprimono un forte legame con il territorio. A differenza di qunato avvenuto in altre realtà, infatti, i simboli del Catania derivano da quelli della città, a cominciare dai colori e dall’elefante.
Prima del fallimento societario del 2021, i tifosi rossazzurri non erano particolarmente attenti alla denominazione ufficiale della società, che è variata innumerevoli volte, per lo più per esigenze meramente burocratiche.
Il Catania a strisce rossazzurre nasce nel 1929 come Società Sportiva Catania, per poi trasformarsi nel 1936 in Associazione Fascista Calcio Catania e rinascere nel 1946 come Club Calcio Catania. Quest’ultima denominazione si prestava e si presta all’abbreviazione C.C.C. che era ampiamente sfruttata dai quotidiani dell’epoca e che oggi sarebbe una risorsa per gli specialisti del marketing, sia per un eventuale rinnovamento del logo in ottica social media, sia come nuovo marchio facilmente riconoscibile e memorizzabile.
A seguito del tentativo del vulcanico presidente Lorenzo Fazio di trasformare il Club in una polisportiva, il Catania tornò brevemente a chiamarsi S.S. Catania nella sola stagione 1950-51.
Con la rivoluzione, avviata nel 1969, che impose la trasformazione dei club in società per azioni ecco nuovi cambi di ragione sociale: prima Calcio Catania 1946 S.p.A. (1970), poi Associazione Calcio Catania 1946 S.p.A. (1971) e infine nuovamente Calcio Catania 1946 S.p.A. (1974).
Inutile ricordare che la rifondazione del 2022 dopo il fallimento ha imposto un nuovo cambio di nome: oggi il club rossazzurro si chiama Catania Società Sportiva Dilettantistica a r.l..

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Evoluzione del logo del Catania

Il logo del Catania è stato composto, nel corso della storia del Club, da due, tre o quattro elementi: lo scudetto, di solito abbinato alla denominazione ufficiale o alla generica scritta “Catania”, l’elefante e il pallone.
Prima che, negli anni 2000, il marketing imponesse la propria legge, la rappresentazione del logo era caratterizzata da un’estrema instabilità, che diventa anarchia se si prendono in considerazione le numerose varianti comparse negli anni sulla maglia rossazzurra.
Per questo occorre distinguere fra l’evoluzione del logo “ufficiale” (le virgolette sono d’obbligo poiché la nostra ricostruzione si basa su documenti sempre più incerti man mano che si va indietro nel tempo) e, appunto, gli stemmi che nei decenni sono stati cuciti sulle maglie rossazzurre.
Infografica: evoluzione dei loghi ufficiali del Catania (BAnt 2022)
Limitandosi all’evoluzione stemma ufficiale è possibile individuare alcuni punti fermi: lo scudo a strisce verticali rossazzurre e la testa di elefante con la proboscide rivolta verso l’alto sono gli elementi presenti più spesso.
Mettendo in sequenza le immagini, salta all’occhio come il logo del 1946 sia un restyling di quello del 1929. Anzi, nei timbri societari il logo del 1946 è identico a quello del 1929, con la sola variazione della denominazione: Club Calcio Catania invece che Società Sportiva Catania.
A meno della naturale evoluzione dello stile grafico, si nota comunque una certa coerenza sin dalla metà degli anni ’50, quando per la prima volta viene inserito il pallone, che scompare intorno al 1963 per ricomparire a tratti negli anni ‘70 e definitivamente nella seconda metà degli anni ’80, durante i quali la testa di elefante scompare a sua volta.
Dagli anni 2000 il logo raggiunge la sua connotazione più stabile, pur vedendo variare le proporzioni del pallone e la forma dello scudo, con piccole ulteriori variazioni cromatiche.

Infografica: i loghi apparsi sulle maglie del Catania dal 1933 al 2022

C’è invece una grande instabilità fin dall’alba dei tempi per ciò che riguarda i loghi comparsi negli anni sulla maglia, spesso ben differenti da quelli ufficiali, cosa che oggi sarebbe impensabile e che un tempo passava invece inosservata.
Anche in questo caso tutto diventa più chiaro con una ricostruzione grafica, tenendo presente che prima degli anni ’90 lo stemma sulla maglia non era ancora un “must”.
A parte il pur apprezzabile logo sfoggiato sulle maglie dell’Associazione Fascista Calcio Catania nel 1937-38, che appare del tutto estraneo alla tradizione, talvolta la testa di elefante è stata inglobata nello scudo, per esempio nella maglia del 1954-55 e in quelle delle stagioni dal 1996 al 2000.
Negli anni ’70 lo stemma è cucito sulle maglie solamente in due stagioni, peraltro in rielaborazioni originali e minimaliste: una testa di elefante dorata nel 1975-76 e una testa stilizzata che sovrasta il classico pallone vintage nel 1977-78. In quest’ultimo caso la scritta “Catania Calcio” circonda il logo nella parte inferiore.
A tal proposito si nota una strana incongruenza rispetto al logo ufficiale, che ostenta la denominazione abbreviata C.C. Catania, sebbene la prima “C” sia stata persa nel 1970 con il cambio da Club Calcio Catania a Calcio Catania. Stessa incongruenza è presente addirittura nella maglia edizione 2000-01.
La storia del simbolo apparso sulle maglie del 1997-98, per rimanerci fino al 2000, è particolarmente bizzarra.

Primavera 1991: la scheda pubblicata da "La Sicilia" con la quale si chiede ai tifosi di scegliere il nuovo logo dell Catania.
Primavera 1991: la scheda pubblicata da “La Sicilia” con la quale si chiede ai tifosi di scegliere il nuovo logo del Catania.

 

Nella primavera del 1991, quindi in era Attaguile, la società indisse infatti un concorso per scegliere un nuovo logo. Furono proposte tre alternative (l’autore è sconosciuto). A spuntarla fu la versione con l’elefante che insegue un pallone inserito all’interno di uno scudo rossazzurro di forma meno triangolare rispetto a quella tradizionale. Di questa soluzione grafica, peraltro interessante, non si ebbero più notizie, ma ne ritroviamo una quasi identica (manca il pallone e l’elefante è meno stilizzato) appunto sulla maglia della stagione 1997-98, quando la società era gestita dagli eredi di Angelo Massimino.
Nel 2000 i Gaucci ripristineranno il logo “classico” con pallone vintage e scudo rossazzurro sormontato dalla testa di elefante. È a questo punto che il logo trova finalmente stabilità anche nella versione di stoffa con le varianti che si fanno sempre meno marcate. Il pallone, bianco nelle versioni più antiche, diventa prima di colore argento, poi di un improbabile arancione e infine un più sobrio color “cuoio” in epoca Pulvirenti (2004-2020).
A proposito dell’era Pulvirenti, occorre notare che il patron rossazzurro volle subito marcare una differenza con il passato proponendo sempre maglie in cui l’azzurro era più simile al celeste che al blu, una scelta che fece storcere il naso ad un suo illustre predecessore.
Giuseppe Rizzo, il Presidente della prima promozione del Catania in A (1953-54) ebbe infatti a scrivere sul proprio blog personale il 30 marzo 2014:

“Ho un solo rilievo da fare ai miei vecchi amici catanesi: i colori del Club erano e sono -rosso e azzurro- come quelli della città di Catania. Come sono nel gagliardetto, con l’elefante ornato in oro, che mi è stato donato dalle donne tifose catanesi in occasione della prima Serie A del club e che ancora custodisco. Non sono gli sbiaditi rosa-celeste di adesso.”

Lo stesso appunto può essere fatto anche alle pur bellissime maglie storiche riprodotte dalla Spensley nel 2010, in cui compare un “nuovo logo storico” creato ad hoc.

Logo maglia storica Catania della Spensley
Il logo creato nel 2010 dalla Spensley per la collezione di maglie storiche rossazzurre.

 

A proposito di loghi ad hoc, una piccola nota la merita anche quello degli anni ‘60 (recentemente ripreso da un bandierone della Curva Nord etnea) spesso confuso per stemma ufficiale: si tratta in realtà di un disegno della Panini che in quel periodo non usava i marchi ufficiali delle squadre ma reinterpretazioni (una molto simile a quella rossazzurra fu fatta per l’Inter). Negli anni successivi ci furono anche altre versioni “non ufficiali” più o meno note.

Logo del Calcio Catania nelle figurine
Il logo del Catania ricreato da Panini a inizio anni ’60: non è uno stemma ufficiale, ma una reinterpretazione per l’album di figurine.

 

Logo Catania figurine Mira
Lo stemma del Catania utilizzato nelle figurine Mira: anche questo non è un logo ufficiale

 

Il nuovo logo del Catania 2022

Arriviamo poi ai nostri giorni, con il fallimento societario che ha imposto un cambio radicale anche per motivi legali.
Disegnato dal grafico catanese Bob Liuzzo, il nuovo logo del Catania riprende gli elementi tradizionali di quello storico. Esso segue il trend del momento di stilizzare e semplificare, aggiungendo le novità di una forma irregolare e di un elefante dall’aspetto aggressivo accentuato dal colore nero. La proboscide è inoltre orientata alla sinistra dello spettatore a formare una “C”.
Un concept riuscito che non tarderà a conquistare anche i tifosi più nostalgici.

Una nota a margine merita l’innovazione più marcata: l’aggiunta della scritta 1946, a voler sottolineare l’intenzione della proprietà di recuperare al più presto la vecchia denominazione (e con essa il vecchio simbolo).
Una scelta giustificata anche dal fatto che una intera generazione dei tifosi rossazzurri è molto legata all’anno di fondazione del Calcio Catania, in particolare per quanto avvenuto nel 1993 e negli anni successivi, quando si dovette contrastare il tentativo di usurpazione della leadership cittadina da parte dell’Atletico Catania.

Il gruppo di “Tutto il Catania minuto per minuto” ha già espresso la propria opinione in proposito, coerente con quanto riportato fin dall’uscita del libro (che, a scanso di equivoci, risale al 2010): si tratta di una scelta che rischia di penalizzare altre importanti pagine della storia rossazzurra, rappresentate per esempio dalle date 1929 e, si spera, 2022.
Anche sul piano puramente strategico sarebbe stato più prudente evitare scelte anche solo lontanamente divisive in un momento in cui la tifoseria rossazzurra è in piena crisi di identità.
A prescindere dall’acquisto del vecchio logo, comunque necessario, mantenere il nuovo anche in futuro potrebbe essere il modo migliore per rimarcare l’unicità della precedente esperienza, un po’ come si fa quando si ritirano le maglie dei campioni.
È bene inoltre precisare che, nonostante alcune stime ottimistiche, non è dato di sapere quando sarà possibile concretizzare il proposito di recuperare il vecchio stemma. Per esempio i cugini del Palermo hanno potuto farlo solo nella primavera del 2022, circa tre anni dopo il loro ultimo fallimento.
Ad ogni modo la società deve ancora strutturare il proprio settore marketing ed avrà modo di correggere il tiro strada facendo.

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Conclusioni

Si parla spesso delle potenzialità della piazza di Catania, non solo a livello calcistico. Tali potenzialità esistono anche dal punto di vista del marketing, ma sono del tutto inespresse.
Una delle priorità del nuovo Catania dovrà essere aprire una nuova era costruendo un vero e proprio marchio Catania grazie ad una strategia di branding capace di valorizzare la storia, la tradizione e l’appeal della squadra rossazzurra per costruire un’identità forte e dal valore economico tale da garantire un futuro sereno al Club.

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Credits e ringraziamenti

La grafica di questo post è stata curata da BAnt.
Si ringrazia Fabio Greco per la consulenza sulla storia dei loghi del Catania.
Si ringrazia Mimmo Rapisarda per la consulenza sulla ricostruzione del logo della A.F.C. Catania.

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Bibliografia

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Sitografia

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Altre letture

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Antonio Buemi è coautore di "Tutto il Catania Minuto per Minuto" e di "Il Rosso e L'azzurro. 90 anni di una maglia". Di tanto in tanto disegna caricature dei protagonisti della storia rossazzurra.