Dopo aver visto come l’azionariato popolare sia parte integrante della tradizione calcistica tedesca, pur con qualche contraddizione, vediamo come il fenomeno è regolato in Spagna.
Anche in questo caso, la situazione attuale è figlia di una svolta legislativa imposta dall’alto in tempi relativamente recenti. Fino agli ’80 infatti, le squadre spagnole erano inquadrate come associazioni sportive senza scopo di lucro. All’inizio degli anni ’90 molte di esse erano ormai in dissesto e pertanto si ratificò una riforma che favorisse l’ingresso nei club di investitori privati.
La “Ley del Deporte 10/1990” è la legge che ha permesso la trasformazione dei club in una nuova forma di associazione, creata per l’occasione e battezzata SAD (Sociedad Aútonoma Deportiva). Si tratta di un tipo di società per azioni la cui attività è limitata all’ambito sportivo. Inoltre la legge ha imposto che, in una SAD, nessun socio può avere un controllo di voto superiore al 5% di una società se già ne possiede uno al 5% in un’altra.
Come in Germania, anche qui non mancano le eccezioni. Sono quattro le squadre della Liga si fregiano ancora dello status di associazione sportiva senza scopo di lucro: Athletic Club Bilbao, Barcellona, Real Madrid e Osasuna, che nel ai tempi della riforma hanno dimostrato di aver avuto bilanci non in passivo nelle cinque stagioni antecedenti a quella 1992-’93.
In seno a questi club dunque, vale ancora la regola “un socio un voto” in sede di assemblea.
Nel caso del Barcellona, che vanta ben 150 mila soci sparsi per il mondo, la struttura societaria è data da due organi principali:. Il primo è l’assemblea generale, che decide l’approvazione del bilancio e delle sponsorizzazioni e può anche ratificare modifiche dello statuto o altre richieste straordinarie. Poi c’è la cosiddetta “Junta”, composta da una ventina di membri che formano lo staff del presidente, il quale è eletto ogni quattro anni e si occupa della gestione economica del club. Chiunque voglia arrivare a fare il presidente però, non solo deve affrontare una campagna elettorale basata su un ben preciso piano di investimenti, ma deve anche dimostrare preventivamente di avere la forza economica per mantenere le promesse. Da questo punto di vista l’assetto è democratico fino ad un certo punto.
Per restare all’esempio del maggior club catalano, inoltre, non si può non notare che l’azionariato popolare non ha impedito al Barca di sposare il progetto tutt’altro che popolare della Superlega, né ha portato a nulla il tentativo di sfiduciare il presidente Bartomeu dopo lo scandalo della presunta campagna stampa denigratoria commissionata ai danni di Lionel Messi. In quest’ultimo caso non si raggiunse il numero minimo di firme per portare la questione in assemblea.
Tornando al contesto generale del calcio spagnolo, i casi di organizzazione in società no-profit è limitato nelle categorie maggiori, ma scendendo nella gerarchia calcistica diventa più comune. L’obbligo di conversione in SAD dei club scatta solo al momento dell’eventuale sbarco nelle prime due categorie spagnole, quelle professionistiche.
A volte però l’apertura a capitali privati è una scelta obbligata, d’altra parte la Ley del Deporte 10/1990 è nata per arginare una situazione di insostenibilità dei costi che era nei fatti per la maggioranza dei club.
Solo le squadre che vantano un numero di tifosi significativo possono permettersi di fare della partecipazione dei tifosi un utile di bilancio. Pensando al Barcellona, il cui radicamento nel territorio affonda nella storia catalana, o al Real Madrid, che del Barcellona rappresenta la nemesi, si può ben capire come in questi casi la base di tifosi sia una massa consistente, capace di resistere nel tempo. Stesso discorso, anche se in scala minore, può farsi per l’Athletic Club Bilbao, che rappresenta l’identità basca in Spagna.
Per l’Osasuna, una squadra di una realtà di piccole dimensioni quale è Pamplona, invece la mancata trasformazione in SAD è una zavorra che impedisce al club un significativo salto di qualità. Sebbene il Club potrebbe decidere di diventare SAD, qualora l’assemblea lo volesse, i tifosi e i soci giurano che questo non avverrà mai, il che spiega cosa significhi avere dei principi non barattabili con prospettive di risultati migliori.
In questa prima parte del nostro viaggio possiamo già identificare alcuni elementi distintivi fra il calcio italiano e quello delle nazioni in cui l’azionariato popolare è realtà.
In primo luogo in Italia manca una legislatura specifica. Inoltre mentre in Germania e Spagna le società hanno strutture di proprietà che funzionano ogni giorno a prescindere dall’evento sportivo e ciò consente lo sviluppo di strategie di marketing molto remunerative.
Un punto in comune è invece il forte senso di appartenenza che in molte piazze italiane non è inferiore a quello dei tifosi del Barcellona o del Bilbao per i rispettivi club.
Basterà questo a trascinare il calcio italiano nel terzo millennio?
Bibliografia
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- L’ora dell’azionariato popolare, Rivista Contrasti, consultato il 20 aprile 2022.
- Come funzionano le proprietà dei club in Spagna, L’ultimo uomo, consultato il 27 aprile 2022.
- Estatutos de Osasuna: Situación de cara a convertirse en SAD, Cope, consultato il 28 aprile 2022.