“Angelo vieni a vedere… Rossi ha fatto gol al Brasile!”. Per ben tre volte la signora Grazia, quel pomeriggio di trentotto anni addietro, fece la spola dal salone di casa al giardino, dove il marito Angelo coltivava i suoi peperoni, noncurante del fatto che in quei momenti si stesse scrivendo una delle pagine più belle della storia del calcio italiano. Il credo calcistico di Massimino era orientato solo verso i colori rossazzurri, il resto era noia per lui, anche la Nazionale italiana.
C’è tanto di rossazzurro, però, che più o meno direttamente s’intreccia nella vita calcistica di Paolo Rossi da Prato, di mestiere calciatore, che grazie all’arte pedatoria è riuscito ad emergere e lasciare un’impronta nella storia del Belpaese, a dispetto del diffusissimo cognome che poteva relegarlo al ruolo di uomo qualunque.
Cominciò presto: aveva solo 17 anni quando mister Vycpalek lo schiera al La Fiorita di Cesena per la sfida di Coppa Italia disputata il giorno della Festa dei lavoratori del 1974. Dopo alcune sporadiche apparizioni in Serie A con la maglia del Como, la grande occasione della carriera passa da Vicenza.
La tripletta al Catania che lanciò Paolo Rossi nel grande calcio
Il torneo 1976-77 è una cavalcata trionfale che vede il Lanerossi ritornare in Serie A. Siamo appena alla quarta giornata del torneo cadetto quando il Catania, reduce da tre pareggi a reti bianche contro Lecce, Pescara e Rimini, si presenta al Menti per affrontare i biancorossi di Giovan Battista Fabbri. I rossazzurri di Di Bella incappano in una sonora sconfitta. In giornata di grazia, Rossi riesce a segnare tre reti archiviando la pratica. L’incipit di Giuseppe Garozzo ne La Sicilia del Lunedì sintetizza perfettamente l’incontro:
“Rossi, giovane centravanti del Vicenza, travolge in dodici minuti Bertini e il Catania, balzando in testa alla classifica dei cannonieri della Serie B.”
La compagine etnea che aveva tenuto botta in difesa nel primo tempo, con il bravo De Gennaro pronto a erigere la diga, crolla nettamente quando questi s’infortuna e deve lasciare il campo. Giovanni Bertini in giornata-no, mastica amaro:
“Glieli ho fatti fare io i tre gol a Rossi che fino a quel momento non aveva toccato palla”.
Ed è così che è passato alla storia il buon Paolo; per ottanta minuti magari non lo vedevi e poi all’improvviso era caparbio nel farsi trovare sempre pronto sotto rete. Così nella sfida di ritorno al Cibali gli etnei pensano di restituire la pariglia al “Real Vicenza”, ma si sbagliano. Ci provano Morra con un colpo di testa e l’infaticabile Labrocca con le sue galoppate sulla fascia a creare insidia nell’area difesa da Ernesto Galli, ma il bunker vicentino non crolla. Rossi è egregiamente marcato dallo stopper Paolo Dall’Oro che non lo molla, ma ciononostante riesce a servire il pallone del match winner a Faloppa che con un tiro rasoterra – battezzato fuori ingenuamente da mezza retroguardia rossazzurra compreso il portiere Dal Poggetto – firma la vittoria vicentina.

Il Catania retrocede in Serie C, Rossi invece spicca il volo: promozione in Serie A e titolo di capocannoniere di B con 21 reti; l’anno dopo, secondo posto dietro la Juve da neopromossa per la squadra vicentina e ancora capocannoniere a quota 24 gol; il Mondiale argentino dove si rivela uno dei principali protagonisti.
Un’escalation di successi che convince Boniperti a riprendersi il giocatore. Alle buste, però, il presidente vicentino Farina si svena e Rossi rimane biancorosso: è l’inizio di un periodo negativo per Paolo che retrocede coi veneti, si accasa successivamente al Perugia e qui “la domenica problemi grossi, segna Giordano, segna Paolo Rossi...”, ovvero le strofe canticchiate da Stefano Rosso ne L’italiano, portano in evidenza usi e costumi degli abitanti nell’italico stivale, toccando mal celatamente la parentesi del calcioscommesse in cui Rossi è suo malgrado coinvolto. Una mazzata dura per il calciatore che rimane due anni fermo.
Il Vecio e la favola mondiale
Tutto sembra finito, Paolo adesso è un signor Rossi qualunque, ma c’è un uomo che crede ancora fermamente in lui: quel mediano che fece grande il Catania negli anni ’50 portandolo per la prima volta in Serie A, Enzo Bearzot, il cittì che lo ha voluto con se in Argentina quattro anni prima, adesso lo convoca contro tutto e tutti. Non voglio star qui a narrarvi le gesta di un Mondiale che conosciamo tutti più o meno a memoria, a cominciare dal trinomio “ROSSI-TARDELLI E AL-TO-BELLI!” scandito la sera dell’11 luglio 1982 in tutte le piazze e borghi d’Italia. Adesso eravamo ubriachi di gioia, ora nessuno pensava più a Pruzzo, capocannoniere di Serie A lasciato inspiegabilmente a casa, adesso eravamo tutti Pablito.


Lo sciopero in Coppa col Catania
Smaltita la sbornia mondiale, in piena canicola agostana, la Coppa Italia decide di accoppiare la Juve nello stesso girone di qualificazione del Catania, e tutti i tifosi etnei si aspettano di vedere all’opera l’hombre del partido contro i propri beniamini. Aspettative deluse in partenza poiché Gentile, Tardelli e Pablito sono in polemica con la Vecchia Signora per questioni economiche giacché da campioni del mondo chiedono un trattamento al pari se non migliore rispetto agli stranieri più o meno bravi che in quegli anni cominciano ad approdare nella penisola a suon di miliardi.
Poco male per i rossazzurri del presidente Massimino, imbronciato con Boniperti per i viaggi a vuoto in quel di Torino, poiché quest’ultimo aveva manifestato un timido interesse per l’acquisto di Cantarutti, rinunciando poi all’affare. In campo la stella è sua maestà Le Roi Platini, ancora nuovo e non perfettamente oleato nei meccanismi di gioco bianconeri. Con la Juventus priva dell’ossatura mondiale per via dello sciopero, gli etnei passano in vantaggio con un gol lampo dell’ex juventino Mastropasqua, salvo essere poi raggiunti da Marocchino per l’1-1 finale.
Giustiziere dei rossazzurri in campionato, tra gol ed assist
E allora per incrociare nuovamente Pablito, campione del mondo e anche fresco Pallone d’oro, bisogna aspettare novembre del 1983, allorché il Catania di mister Di Marzio neopromosso torna a sfidare la Vecchia Signora in campionato. L’onere di marcarlo è affidato a Giacomo Chinellato che si lascia sorprendere da uno scatto fulmineo del centravanti bianconero, lesto a infilare nella rete difesa da Sorrentino. Termina 2-0 (l’altro gol porta la firma di Platini), e “anche il pubblico alla fine ha capito la superiorità di Rossi e compagni e ha applaudito sportivamente”, come rileva Gian Paolo Ormezzano sulle colonne de La Stampa. Rossi così aggancia Zico in vetta alla classifica dei marcatori ed elogia il compagno Tardelli che gli ha permesso di segnare grazie ad una finta che ha ingannato il baffuto portiere etneo.

25 marzo 1984, Annunciazione del Signore. Il Catania rende visita ai bianconeri. Adesso i rossazzurri sono guidati proprio da Gibì Fabbri, il primo allenatore importante nella carriera di Rossi. Pablito, in giornata-no, conclude poco creando stavolta pochi patemi a Chinellato (nella foto di copertina), tanto da essere sostituito a venti minuti dal termine da Tavola. Ma da un suo tiro dalla bandierina Scirea per la seconda volta mette in rete, svettando più alto di tutti. 2-0 con doppietta del libero, e saluti all’attaccante juventino che non incrocerà più i rossazzurri nel proprio cammino.
Paolo Rossi, un campione silenzioso
Una stagione al Milan e una al Verona inframezzate dall’anonimo Mundial del 1986 dove ormai “era un ragazzo come noi” – per dirla con Giulio Cesare di Venditti – sono le ultime esperienze senza né infamia né lode che chiudono la carriera di Paolo.
Se n’è andato un signore col quale “giocare insieme era una gioia mentre oggi è un giorno di tristezza”, come affermato da Valeriano Prestanti, che in rossazzurro giocò la splendida stagione della risalita in B nel 1975, a rifornire le fasce di palloni da destinare al duo d’attacco Ciceri e Spagnolo, prima di approdare al Vicenza per divenire il cavaliere servente di sua maestà Pablito.

“In Tv lo trovavi quasi nascosto, con la sua garbata voce toscana, sempre un passo indietro come se si sentisse un estraneo tra i giganti”
Bastano le parole dell’amico Piero Armenio a salutare quel campione silenzioso che fece sognare gli italiani quell’estate del 1982.