Domenica 21 febbraio 1988, il minuscolo stadio Calogero Saporito di via Pastrengo è pieno come un uovo: per la prima volta dopo 57 anni di storia, il Licata ospita il blasonatissimo Catania che fino a pochi anni prima militava in massima serie. Duecento gole sono stipate nella scheletrica tribunetta riservata agli ospiti. All’orario prestabilito, dal casotto degli spogliatoi escono i 22 calciatori capeggiati da Graziano Cesari di Genova, giacchetta nera dell’incontro. Dagli spalti è tutto uno sventolio di vessilli, gialloblu da un lato e rossazzurri dall’altro, frammisti a fumogeni, coriandoli e rotoli di carta altamente coreografici. I due capitani, Pippetto Romano per il Licata e Carletto Borghi per il Catania, si scambiano i convenevoli a metà campo. Due tocchi e l’inedito derby inizia senza troppi complimenti.
Facciamo un passo indietro: ma lo stadio del Licata non si chiama Dino Liotta? Sì: ma in quei lunghi mesi della stagione di C1 1987/88 è chiuso per lavori che ne faranno un piccolo gioiello. Viene posto il manto in erba; le due tribune centrali vengono coperte e realizzata una curva. Sorge a Licata in via Marocco, nei pressi della foce del fiume Salso, in pieno centro cittadino.
Dino Liotta era stato un tenente di vascello della Regia Marina italiana durante il secondo conflitto mondiale. Perì nelle acque del Mediterraneo in seguito all’affondamento del suo sommergibile durante operazioni belliche in mare aperto. Già il 5 maggio del 1945 (pochissimi giorni dopo il “cessate il fuoco” definitivo) lo stadio Dino Liotta venne inaugurato con grande giubilo della comunità locale che intendeva dimenticare subito i tragici anni vissuti. Ma perché proprio quell’intitolazione? Le fonti ufficiali sono un po’ vaghe (di caduti, militari e civili, le città isolane erano piene) e allora desideriamo rispolverare l’antica testimonianza di Gabriele Armenio, licatese d.o.c. e zio di chi scrive, che svela un retroscena non confermato circa l’intitolazione dello stadio:
«I Liotta erano una famiglia molto in vista in città. Commercianti con molti magazzini e terreni. Il comune di Licata chiese loro un terreno per realizzare il nuovo stadio. Su questo terreno sorgeva un capannone. Il capofamiglia dei Liotta rispose che avrebbe acconsentito; ma a patto che lo stadio fosse stato intitolato al figlio Dino, partito per la guerra e mai più tornato. E così andò».
Come detto, però, il Liotta nel 1987/88 chiude per ristrutturazione. La squadra gialloblu è dunque costretta a giocare qualche gara interna fuori dalle mura cittadine (a Ravanusa) per poi stabilire la sua casa al Saporito, secondo impianto cittadino certamente inadatto a livello di spalti ma dotato di un fondocampo in terra battuta color spiaggia tra i migliori nel sud Italia come manovrabilità di gioco. Questo piccolo stadio (tuttora esistente) deve la sua intitolazione all’appassionato giornalista sportivo licatese Calogero Saporito, scomparso prematuramente, che aveva raccontato con grande entusiasmo le prime fasi dell’ascesa del Licata Calcio in quegli anni.
Torniamo al derby di quella domenica 21 febbraio 1988: il campionato di C1 girone B celebra il 21° turno, quarta giornata di ritorno. La Serie A è ferma: il giorno prima l’Italia di Vicini ha demolito 4-1 l’URSS di Valeri Lobanovskij in amichevole a Bari. La doppietta di Vialli sembra lanciare un chiaro segnale per l’imminente Europeo in programma in Germania.
Il Licata presieduto da Franco Licata D’Andrea, dopo un mediocre girone d’andata, è partito a spron battuto nel ritorno battendo in casa la Casertana (3-0), vincendo a Sassari (1-2) e soprattutto annichilendo in casa il Cosenza di Gianni Di Marzio (2-0), favoritissima del campionato. Alla vigilia del derby, i gialloblu occupano la 5a piazza a 23 punti, a sole due lunghezze dal terzetto in testa Cosenza-Reggina-Foggia.
A questo punto, dobbiamo smontare un clamoroso falso storico: Zdeněk Zeman, l’arcifamoso tecnico boemo, era stato trainer gialloblu solo fino al 1985/86. Dalla stagione ’86/87 sulla panchina gialloblu siede il bergamasco Aldo Cerantola, taciturno e scorbutico. Zeman non ha mai condotto il Licata in Serie B!
Quel Licata ’87/88 è un ben strano complesso calcistico che definiremmo “autarchico”: sui 24 atleti della rosa appena 3 non sono nati in Sicilia (il secondo portiere Caniato, l’ala Minincleri e lo stopper Baldacci). La giovane mezzala Diego Ficarra è solo nominalmente nato a Vevey (Svizzera) essendo siciliano a tutti gli effetti. Una squadra giovane: il più anziano, il portiere Emilio Zangara, non ha nemmeno trent’anni. Ci sono molti palermitani in rosa (Castrense Campanella, Ignazio Gnoffo, Totò Tarantino, Giorgio Taormina, Tommaso Napoli, Pippetto Romano…), marsalesi (Mimmo Giacomarro), mazaresi (Giacomino Modica), leonfortesi (Laneri), siracusani (Loreno Cassia), messinesi (Pino Irrera).
A proposito di messinesi: la stella della squadra è Ciccio La Rosa, messinese di Tremestieri classe ’61, centravanti prolificissimo con già campionati di B alle spalle. “Ciccio” è uno dei pochi innesti estivi, la classica “pedina mancante” che accende la luce. In rosa figurano anche due talenti fatti in casa: il libero Angelo Consagra e soprattutto Giovannino Sorce, attaccante diciottenne presto divenuto una miniera d’oro per il club girgentano.
Sulla sponda catanese gli unici isolani in campo sono il centuripino Saro Picone, titolare con la casacca numero 5, e il messinese Romolo Rossi, col numero 6. I vari Marigo, Canuti, Longobardo, Tesser, Giancarlo Marini e Borghi dovrebbero segnare un’ipotetica superiorità tecnica data dai tanti e blasonati campionati di A alle spalle. Macché! Il Catania di Piero Santin, con 18 punti dopo 21 gare, è parcheggiato appena due punti sopra la coppia Campania Puteolana-Cagliari terzultime. La stagione è dunque pessima e il cambio societario Massimino-Attaguile ha solo aggravato la crisi tecnica presente ad inizio stagione. I rossazzurri segnano col contagocce, specie in trasferta dove si accumulano brutte figure e scene mute. La retrocessione in C2 è tutt’altro che impensabile. Lo stesso Santin, subentrato all’esonerato Osvaldo Jaconi da appena 12 gare, è già a rischio esonero.
Per il Licata, dunque, il derby contro il Catania potrebbe essere la svolta per un impronunciabile sogno: la Serie B. Una sconfitta, però, il Catania non può proprio permettersela, pena il baratro che si spalancherebbe con vista “seconda retrocessione consecutiva”. La partita è un usurante monologo gialloblu sin dalle prime battute: fasce occluse dalle scorribande tarantolate dei padroni di casa, mediana senza nerbo rossazzurro e linea d’attacco con chiavi in mano al tridente Romano-Sorce-La Rosa. A proposito di quest’ultimo, gli ultras di casa seguono le gare coccolando in curva un bambolotto che ha tutte le sembianze del bomber di Tremestieri! Il Licata attacca ma lascia spazi che il Catania prova solo timidamente a sfruttare.
La gara svolta al 37°: Cesari manda l’etneo Nicola Garzieri negli spogliatoi per fallo su Baldacci. Catania in 10 per la restante scarsa ora di gioco. Secondo tempo: l’aria che tira è di arrembaggio gialloblu. Santin toglie al 57° l’unica vera punta (Borghi) per un difensore (Carannante). Segnale chiarissimo. I rossazzurri (in campo con maglia rossazzurra a strisce ma con calzoncini e calzettoni rossi) spaventosamente si rintanano a ridosso della propria area di rigore. Dario Marigo è costretto a volare da palo a palo per scongiurare il gol.
Il tempo scorre e lo 0-0 sembra il risultato più probabile ormai a tre minuti dalla fine. Corre l’88°, c’è un corner da sinistra per il Licata, che attacca dal lato in cui alle spalle della porta sorge uno sgraziato muro. Parabola tesa in area, un primo colpo di testa viene rimpallato, nessun rossazzurro rinvia e Silvestro Baldacci con una lesta girata rompe l’incantesimo: Licata in vantaggio. Grazie al gol dell’unico non siciliano in campo tra i suoi uomini, quel Baldacci, pescarese, acquistato quasi per caso dall’Angizia Luco e diventato perno della squadra nella sua scalata verso la cadetteria.
Vince il Licata, che grazie al contemporaneo pari del San Vito tra Cosenza e Foggia e alla sconfitta del Campobasso a Frosinone, è ora ad un solo punto dalla B diretta. Perde il Catania e perdono la testa i suoi tifosi che inscenano una sassaiola contro la tribuna centrale proseguendo gli scontri nell’antistadio. Un derby amarissimo: Santin viene esonerato la domenica seguente, dopo il pauroso 1-3 casalingo con il Campobasso. L’approdo di Bruno Pace in panca condurrà ad una tribolata salvezza nello spareggio di Cosenza.
Il Licata fa in tempo ad inaugurare il nuovo Liotta conquistando la sua prima e unica Serie B a suon di record: sono 28 su 34 i punti ottenuti nel girone di ritorno! La Rosa capocannoniere del girone con 15 reti. «Un vero “miracolo” per la nostra città!» queste le parole del pacioso sindaco pro tempore della città del Faro, Gianbattista Platamone. Il presidente Licata D’Andrea svela a fine campionato in un’intervista il conto di una promozione da tutti definita “a costi irrisori”: «La stagione mi è costata 2 miliardi e trecento milioni di lire; più 500 milioni di premio promozione. Abbiamo speso poco». Di certo un ruolo importante lo ebbe anche la banca Sant’Angelo, istituto creditizio licatese in grande ascesa negli anni ottanta e da generazioni a concreto sostegno della città dove era stato fondato.
IL TABELLINO DELL’INCONTRO
21 febbraio 1988 – Licata-Catania 1-0
Licata: Zangara, Campanella, Taormina, Giacomarro, Baldacci, Napoli, Romano, Tarantino, Sorce, Ficarra (69′ Irrera), La Rosa. All. Cerantola
Catania: Marigo, Longobardo, Garzieri, Canuti, Picone, Rossi, Puzone, Mattei, Borghi (57′ Carannante), Tesser, Marini. All. Santin
Arbitro: Cesari di Genova
Rete: 88′ Baldacci
Note: al 37′ espulso Garzieri (Catania)
Nella foto in alto, tratta da CalcioCatania.com, il settore ospiti rossazzurro al “Saporito”.