Al momento stai visualizzando Quella sera d’estate 2003 a Gubbio con il Catania

«Io sono di Catania». No, non è la voce di Joe Pesci in The Irish Man. È la voce di un ragazzino di tredici anni che una sera di mezza estate si ritrovò improvvisamente davanti tutti i suoi idoli.

Domenica 27 luglio 2003. La mia famiglia era in vacanza in Umbria da alcuni giorni; avevamo girato la regione in lungo e in largo, ammaliati dalla bellezza dei suoi paesi, dei suoi paesaggi, della sua cucina.

Quella sera facemmo tappa a Gubbio, la città dei ceri, impressi anche nello stemma della regione. Era buio e noi molto stanchi, reduci da una lunga giornata in mezzo al caldo record di quell’estate e dovevamo ancora fare parecchi chilometri per tornare al nostro alloggio.

Lungo una delle strade del centro (credo fosse via Baldassini, proprio sotto piazza Grande), incontrammo un folto gruppo di giovani in un bar. Alcuni sorseggiavano una bibita in piedi, altri chiacchieravano seduti ai tavolini. Il primo che inquadrai fu un ragazzo scuro di carnagione, con un orecchino evidente, “sduacato” su un divanetto… era Lulù. «Cavolo, è il Catania!»

Il Catania era a Gubbio per il ritiro precampionato da alcuni giorni. Aveva appena disputato la prima amichevole stagionale, contro il Fontanelle Branca (terminata 11-0). Nel cuore dell’Umbria, lo staff guidato da Marco Montesanto cercava di preparare al meglio la squadra in vista della nuova stagione che, però, non si sapeva ancora quando sarebbe iniziata e soprattutto da dove.

Eravamo nel bel mezzo del “caso Catania” e nei giornali non si parlava d’altro. I rossazzurri avevano chiuso la stagione precedente al quartultimo posto in Serie B, cosa che avrebbe decretato la retrocessione in C1 insieme a Genoa, Cosenza e Salernitana. Ma i Gaucci avevano vinto il ricorso per una partita, Catania-Siena, in cui il difensore bianconero Luigi Martinelli era sceso in campo seppur squalificato. L’1-1 sul campo era stato tramutato in 2-0 a tavolino, garantendo al Catania i due punti necessari per la salvezza (e destinando Napoli e Venezia ad uno spareggio per non retrocedere).

Il 16 luglio, però, era arrivata la batosta: il Venezia – col dente avvelenato – aveva presentato un ulteriore ricorso contro il Catania per un caso analogo. Vito Grieco era sceso in campo in Catania-Venezia pur essendo in squalifica. Ciò avrebbe tolto tre punti al Catania, che si sarebbe ritrovato in C1.

In quei giorni in auto ascoltavamo la radio che, tra un brano del Festivalbar (quella del 2003 fu una delle edizioni più ricche di successi) o di HitManiaDance Estate (cd che resterà un cult per i ragazzini della mia età) e le notizie che arrivavano dall’Iraq (in qui giorni furono uccisi due figli di Saddam Hussein), dava periodici aggiornamenti sulla vicenda Catania. Quel trambusto in serie cadetta, infatti, creava enormi problemi a tutte le altre categorie e soprattutto generava conflitti di competenza tra Federazione, CONI e tribunali civili. Il TAR di Catania aveva sospeso la decisione sul caso-Grieco e si attendeva il responso del CGA di Palermo; si andava verso la B a 21 squadre e nel gruppo rossazzurro trapelava un certo ottimismo.

Mio padre chiacchierava con un membro dello staff tecnico. Non ricordo chi fosse, forse l’amico fisioterapista Piero Dispinzieri o – molto più probabilmente – il medico sociale Angelo Finocchiaro, che conosceva da anni. Ricordo che le discussioni erano sulle vicende extra sportive ed a precisa domanda su come sarebbe finita, la fiduciosa (e azzardosa) risposta era stata «Vedrai che alla fine saremo in B».

Io invece ero intento a parlare con i giocatori. «Potete farmi un autografo?» avevo chiesto timidamente alla compagnia, tutti in polo e pantaloncini scuri, con logo Galex e stemma rossazzurro. A rispondermi era stato proprio lui, il campione di São Luis, che con un tono tra l’infastidito e l’ironico mi disse «…e facciamolo dai!».

In pochi secondi avevo fermato un cameriere, strappato un foglio dal suo taccuino e preso in prestito una penna. Il più gentile fu Zeoli, che mi accompagnò in giro a chiedere la firma ai suoi compagni di squadra. «Io sono di Catania», come a dirgli «Io vengo dalla Sicilia, non sono uno di qui. Vi conosco tutti e tifo per voi al Cibali!».

Estate 2003 Catania ritiro Gubbio    Estate 2003 Catania ritiro Gubbio

Non ricordo tutti i volti, data la concitazione del momento. Ricordo l’autografo di Gennaro Monaco e quello De Martis («meh, ma ti facisti fari l’autografu macari ddi De Martis?!» furono i commenti degli amici, ma Massimo fu uno dei più cordiali e disponibili, malgrado fosse in procinto di salutare la compagnia etnea). Ricordo l’emozione di trovarmi lì in mezzo: non pensavo di beccarli in centro a quell’ora di sera, malgrado attendessi da giorni quella tappa a Gubbio.

Era un gruppo apparentemente spensierato, ma in realtà aleggiavano nell’aria incertezza ed inquietudine. Molti erano giovanissimi, tanti stranieri e aggregati per far numero, alcuni si stavano conoscendo proprio in quel frangente. La B o la C1 avrebbe significato l’addio di alcuni o di altri, dovendo cambiare di colpo società, città, amici.

La squadra era incompleta. Il ds Guido Angelozzi aveva molto da fare in quei giorni: erano arrivati in prova il tedesco Pelzer e l’austriaco Grissmann, mentre il nome caldo del giorno era quello di Mattia Biso (che tuttavia avrebbe vestito il rossazzurro solo due anni e mezzo dopo). L’incombenza più dura l’aveva il duo Matricciani-Colantuono, che cercava di forgiare una squadra degna delle aspettative, senza però avere idea di che stagione li aspettasse: categoria, rosa, modulo, data di esordio, numero di partite da affrontare. Ricordo la pelata di mister Stefano sbucare per un attimo da dentro il locale, per poi rientrare al chiuso.

Alla fine, il Catania avrebbe giocato in B, ma ci sarebbero voluti ancora tantissimi, estenuanti giorni: un nuovo ricorso al TAR di Reggio Calabria (che sancì l’iscrizione irregolare del Napoli e il ripescaggio dei rossazzurri), l’intervento del governo che allargò il campionato a 24 squadre (qui tutte le tappe della vicenda). Il mancato accordo con le tv avrebbe fatto saltare in toto la prima giornata e della seconda si sarebbero giocate solo due partite (tra cui Catania-Cagliari 0-3). Poi quel gruppo ingranò, ma non sarebbe durata, forse anche a causa della tensione emotiva vissuta in fase di preparazione. Non sarebbero durati gli allenatori, non sarebbero durati i senatori (compreso Lulù, messo fuori squadra nell’ultima parte di campionato), non sarebbe durata la presidenza, con l’arrivo di Pulvirenti a maggio.

Quell’incontro estivo durò pochi minuti. Non ho foto di quel momento; di quella sera, nel rullino della mia Yashica trovai solo qualche foto della Basilica di Sant’Ubaldo e della Cattedrale. Rimane però quel foglio con gli autografi e il brivido di ritrovarsi, all’improvviso, in mezzo ai propri idoli. Uno spettatore che entra nei camerini per salutare gli attori e si innamora del backstage. Orgoglioso di dire «io sono uno di voi». Era solo calcio, anzi non era neanche quello. Era molto di più.

Nella foto in alto, un’immagine del riscaldamento prima della partita contro il Fontanelle Branca, tratta da “La Sicilia”.

 

 

 

Classe '90, laureato in Internazionalizzazione delle Relazioni Commerciali, è il fondatore di "Quelli del '46", nonché l'ideatore del murale del Cibali. Si occupa quotidianamente di comunicazione e marketing, con un occhio particolare alla mobilità sostenibile, alle energie rinnovabili ed allo sport.