Catania, 11 dicembre 1970 ore 23,15 circa; un ragazzo a bordo della sua Alfa Giulia Sprint GT Junior targata Torino, procede in direzione Aci Castello. Quel giovanotto si chiama Luciano Limena, ha 22 anni e gioca nel Catania. È solo in auto, ha appena trascorso la serata insieme ad un amico col quale ha seguito uno spettacolo televisivo prima di riaccompagnarlo a casa, nei pressi del cinema Lo Po.
I suoi compagni sono in ritiro a Montecatini, in vista della trasferta di Bologna; lui non è stato convocato a causa di una forte distorsione alla caviglia, accusata nel corso della partita col Varese, che lo tiene bloccato in sede in via cautelare, nonostante abbia quasi esaurito tutte le cure e il rientro in squadra è breve a venire. Ma il destino beffardo vuole che Luciano rimanga a Catania per andare incontro alla sua ultima tragica serata. Sulla curva che volge a sinistra dopo il ristorante “La Scogliera”, Luciano (probabilmente per la forte velocità con cui procede) ha perso il controllo della sua vettura. Una sbandata sulla destra, uno stridore di freni, un urto violento contro dei massi, uno schianto.
La vettura è fracassata, Luciano è soccorso da due agenti della stradale e trasportato al “Garibaldi”. Ogni sforzo di rianimarlo è vano. Giunge in ospedale in stato di arresto cardiaco, con una vasta apertura posteriore della volta cranica, e la colonna vertebrale fratturata. Al medico di servizio non resta altro che verbalizzare il decesso e il censimento di tutto quello che il ragazzo aveva addosso, gli oggetti personali e 940 lire esatte.
“Chi fosse stato sabato a Bologna, al “Garden”, come noi c’eravamo, avrebbe avuto l’impressione di trovarsi dappertutto salvo che vicino a una squadra di calcio, a giovanotti vigorosi e pieni di salute. Non li abbiamo sentiti ridere un momento o prendere una carta in mano: e non dimenticheremo facilmente il viso scavato di Reggiani (erano i più giovani, con “Cicci” Limena) e le lacrime che gocciolavano sul viso di Vaiani mentre si curvava sul giornale. Bravi ragazzi.”
Descrive un’atmosfera lugubre il giornalista Prestinenza, recatosi a Bologna per seguire la squadra del Catania, che si appresta a sfidare la compagine felsinea. La tragedia ha lasciato il segno nel cuore dei ragazzi rossazzurri e non solo.
Luciano era un ragazzo timido, introverso di poche parole, ma in campo era un terzino moderno, vigoroso, validissimo, tecnicamente dotato, ottimi controllo di palla e prontezza di riflessi, una volontà di ferro.
Nato a Este, in provincia di Padova il 7 gennaio del 1948, avrebbe compiuto 23 anni a poco meno di un mese. Era giunto a Catania nell’estate del 1968, dal Torino, col quale ha vinto il campionato italiano primavera 1967. Esordisce in rossazzurro a Perugia (0-0 in serie B) e colleziona 29 presenze nella sua prima stagione catanese. Molte squadre pongono l’attenzione sul giovane terzino, in particolare il Verona col suo presidente Garonzi, lo richiede esplicitamente, ma deve sentirsi rispondere picche dai dirigenti catanesi, che puntano forte su di lui, anche per il successivo torneo cadetto. L’anno seguente appunto, quello della cavalcata trionfale verso la A, è titolare inamovibile; sempre presente, salta solo la gara col Foggia, in più segna un gol a Bergamo, che consente ai rossazzurri di incamerare 2 punti fondamentali verso la promozione. Il Catania soddisfatto del suo forte difensore, ne conclude l’ingaggio a titolo definitivo, versando una trentina di milioni nelle casse della società granata. Soprannominato “Cicci” (per via di qualche chiletto di troppo) da compagni e tifosi, di lui rimane il rimpianto per una carriera brillante che gli si prospettava davanti, stroncata dal crudele destino.